ARTICOLO APPARSO SULLA RIVISTA  PRIMA FILA del aprile 1995
intervista a cura di Valerio Tura

                                         Giovanni Furlanetto: dal naso rosso a Leporello

"Nel 1976, a diciott'anni, me ne andai da Treviso con l'intenzione di iscrivermi  alla Scuola di circo dei Fratellini, a Parigi. Forse iniziava a starmi un po’ stretta  una piccola citta'?, o forse provavo insofferenza verso gli schemi della quotidianita', della vita familiare, dei soliti incontri?  Da bambino, anche all'epoca della scuola, provavo qualche disagio a parlare in pubblico, ma bastava che mi mettessi una maschera, e sparivano tutte le timidezze".Cosi', racconta Giovanni Furlanetto, ex clown, ex attore, oggi cantante lirico fra i piu' affermati della sua generazione: un basso apprezzato soprattutto per le sue interpretazioni mozartiane (Leporello nel Don Giovanni e il ruolo del titolo nelle Nozze di Figaro)ma anche per le sue non occasionali incursioni fra le pagine di altri autori, quali Rossini, Bellini, Donizetti, Verdi, e per la sua interpretazione del torero Escamillo nella Carmen di Bizet.

"Rimasi poco tempo a Parigi, nonostante l'entusiasmo iniziale. Avevo gia' in mano il documento di iscrizione alla Scuola dei Fratellini. Ma una vaga sensazione di nostalgia di casa e di legame con le mie radici mi spinse a rientrare in Italia. 

Pero' la voglia dI circo e di teatro era ancora tutta la', intatta e insoddi­sfatta. 

L'anno dopo frequentai, quasi divorandoli  tutti i corsi, gli stages possibili, di clown, di trucco. di teatro, a Pontedera e a Santarcangelo con Pierre Byland, insegnante della scuola di Jacques Lecoq. con Dario Fo, con i fratelli Colombaioni, e poi anche in Polonia con Grotowski".


Dall' apprendistato al lavoro in prima persona il passo e' stato breve ...

"Fu dopo aver visto una spettacolo del Teatro di Pontedera. Ci affascinava l'idea di poter fare anche teatro, e nel 1978 con alcuni amici mettemmo su una piccola compagnia a Treviso, il Teatro degli Stracci. e cominciammo a fare i nostri spettacoli. Il primo fu una clownerie  intitolata Verdi squole di Scozia, con almeno duecento repliche in tutta Italia, e poi venne la volta del Fantasma di Canterville. Avevamo la certezza che un naso rosso fosse gia' circo e che un paio di trampoli fosse gia' teatro: e funzionava". 

Solo dopo qualche tempo e' venuta la scoperta del'opera e delle sue possibilita' espressive, e poi la scoperta di possedere una voce che valeva la pena di essere educata al canto.

"Se negli anni in cui recitavo mi avessero pronosticato un futuro come cantante d'opera, mi sarei messo a ridere. L' opera lirica mi annoiava, e mi sembrava una forma espressiva ormai defunta, non piu' in grado di comunicare alcunche' alla nostra sensibilita' moderna; insomma roba per vecchi decrepiti. 

Mai dire mai!".


 E del clown di ieri che cosa e' rimasto nel lavoro di oggi nel teatro d'opera?

"Imparare a fare il clown, anche se in modo magari un po' improprio, come si faceva in quegli anni, mi ha insegnato comunque l'importanza della preparazione e della disciplina. 

 Sembra facile far ridere: non. basta fare qualche boccaccia ... ci sono altre cose necessarie. Si debbono imparare molte piccole abilita' manuali, magari minime, come far girare in aria tre palline o come fare bene salti, capriole e piccole acrobazie, come cadere in terra senza farsi male, come truccarsi, come mantenersi in allenamento, come avere sempre la consapevolezza piena della gestualita' e dei movimenti del corpo. E la disciplina e' uno dei fondamenti che ancora oggi ritengo indispensabili per il mio lavoro di cantante. Alla scuola di Pierre Byland ci insegnavano a ricercare il nostro clown interiore, senza scimmiottare altri modelli e senza usare facili effettacci, e questo continuo esercizio di ricerca e di misura e' qualcosa che mi e' utile sempre, per trovare ogni volta in me la chiave per interpretare un personaggio. Inoltre mi e' utile la sensibilita' nel valutare i cosiddetti tempi comici: un clown che dice una battuta buffa o fa una gag, riesce a far ridere solo se usa il giusto ritmo, altrimenti non scat­ta il meccanismo comico. Questo mi serve moltissimo soprattutto per il teatro musicale di Mozart e Rossini,   specie nel modo di interpretare i recitativi. piu' in generale l'aver lavorato, non soltanto come clown, sul teatro di gesto e di parola, prima ancora che sul teatro musicale, mi ha insegnato a improvvisare, magari quando occorre per superare una difficoltà imprevi­sta, un errore, una dimenticanza, o per scongelare un momento di freddezza; ad avere insomma sempre la coscienza del fatto che, anche se stai interpretando un testo musicale dove tutto e' scritto e deve essere rispettato rigorosamente, stai sempre lavorando su un organismo vivo"
,Testimonianza raccolta da Valerio Tura